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Il prosciutto cotto è uno dei salumi italiani più amati ad ogni età. Ma quali sono le sue origini e chi l’ha inventato? Scopriamolo insieme, facendo chiarezza anche sulla definizione di prosciutto cotto e su come la legge italiana regolamenta questo salume e le sue denominazioni.
Le prime attestazioni storiche del prosciutto risalgono ad alcuni secoli prima di Cristo: abbiamo testimonianze scritte di Catone il Censore risalenti al II secolo a.C. che descrivono l’essiccazione della carne di maiale – in particolare le zampe posteriori -, ma sicuramente l’antichissima pratica di cibarsi di carne suina era stata fatta evolvere dagli Etruschi, che già nel V secolo a.C. praticavano l’arte della salumeria trasformando le cosce di maiale in quelli che possiamo definire antenati dei prosciutti.
Fondamentale per la realizzazione del prosciutto e per la conservazione delle carni era la disponibilità di grandi quantità di sale marino, che il clima e la presenza del mare garantivano lungo le coste dell’Impero Romano e che il commercio alimentava. Altri autori come Porzio Catone, Ovidio, Polibio e Apicio citano nelle loro opere la produzione di salumi di carne di maiale e di prodotti affumicati, così come sappiamo che con l’espansione delle loro conquiste i Romani vengono in contatto con le usanze alimentari della Gallia Cisalpina (l’odierno territorio a nord della Pianura Padana, ancora oggi grande terra di salumi): questi popoli avevano sviluppato una tecnica di trasformazione delle cosce suine con una doppia cottura, prima in brodo e poi in crosta con il miele, per ottenere il loro particolare prosciutto cotto, che ebbe molto successo a Roma e fu importato massicciamente.
Da quel momento in avanti il prosciutto cotto divenne un alimento comune in tutto il mondo romano e la sua tradizione si è progressivamente diffusa e affinata, grazie al miglioramento delle tecniche di conservazione della carne mediante affumicatura, salatura e essiccatura, fino all’introduzione del prosciutto crudo in epoca longobarda e, in età rinascimentale, alla nascita della vera e propria arte salumiera italiana.
Oggi il prosciutto cotto è uno dei principali salumi della tradizione italiana, affermato e conosciuto in tutto il mondo. Esistono tuttavia diverse tipologie di prosciutti cotti, che il Ministero dello Sviluppo economico ha fissato secondo una tripartizione ben precisa. Innanzitutto si può definire prosciutto cotto soltanto il salume cotto non insaccato e ricoperto parzialmente da cotenna ottenuto da salatura e cottura della coscia di maiale; in secondo luogo, in base al livello di umidità del prosciutto (Umidità su prodotto sgrassato e deadditivato – UPSD) e alla presenza dei muscoli della coscia suina si individuano tre diverse qualità di prosciutto cotto.
Prosciutto cotto
Si definisce “prosciutto cotto” semplice il prosciutto ottenuto a partire dalla coscia del suino, senza la necessaria presenza dei relativi muscoli, con un elevato tasso di umidità, pari all’81-82%; questo tipo di prosciutto si riconosce soprattutto per la forma compatta, non quella tipica di un prosciutto, e l’aspetto gelatinoso.
Prosciutto cotto scelto
Nel prosciutto cotto scelto risultano individuabili almeno 3 dei 4 muscoli principali della coscia suina e il livello di umidità è compreso tra il 78,5 e il 79,5%, spesso ottenuto mediante il ricorso a polifosfati o proteine del latte per trattenere l’acqua nel prodotto (scopri di più sui polifosfati nei salumi).
Prosciutto cotto alta qualità
Il prosciutto cotto di alta qualità è quello ottenuto da cosce di suino in cui siano identificabili con chiarezza almeno 3 dei 4 muscoli principali e in cui il tasso di umidità è non superiore al 76,5%. Per questo motivo il prosciutto cotto alta qualità non contiene polifosfati aggiunti e presenta una consistenza più asciutta.